di Bruna Rucci psicologa psicoterapeuta
Maison Antigone, denunciando il rischio di depenalizzazione del reato di maltrattamenti, abbiamo chiesto alla dottoressa Bruna Rucci, psicologa e psicoterapeuta, un parere in merito.
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La violenza nelle relazione è la forma di violenza più comune nella vita delle donne, in tutto il mondo, superando ogni altro tipo di abuso fisico e sessuale.
La comunità scientifica ha da tempo abbandonato la visione della violenza verso le donne come malattia psicologica, perché non può descrivere quello che accade, né generare strumenti efficaci di intervento.
1- Affermare che la violenza verso le donne sia una malattia di cui è affetto chi la esplica, non è confermato da studi e ricerche. Nel caso della violenza domestica i violenti aggrediscono fisicamente solo la loro compagna, moglie, fidanzata (a volte anche i figli). Quindi c’è una scelta razionale su chi attaccare, come, quando e dove, che la persona con reali disturbi psichici, come uno schizofrenico, non è in grado di fare. Il comportamento dei violenti non corrisponde, quindi, a quello di individui con problemi mentali o psichici.
2- Affermare che la violenza sia una perdita di controllo, ossia un “ raptus”, (termine caro a media e giornalisti per giustificare stupri e femminicidi) scatenato dalla incapacità di gestire rabbia e frustrazione, non corrisponde a quanto succede nella realtà.
Le ricerche e lo studio dei comportamenti dei violenti nei confronti delle donne, hanno evidenziato che il presunto raptus (momento di assoluto obnubilamento delle facoltà razionali), non si scatena mai verso colleghi, amici o passanti, ma è rivolto sempre contro moglie o fidanzata.
L’azione violenta è spesso preparata con cura.
Pedinare la futura vittima, tenderle un tranello per incontrarla da sola, andare all’incontro con una tanica di benzina e sostenere dopo di non sapere cosa si stesse facendo, sono in aperta contraddizione.
Il violento abituale sceglie con cura le sue tecniche. Picchia solo in privato, o fa in modo di non lasciare prove e testimoni. Alcuni minacciano gli affetti della vittima (figli, animali domestici, parenti), facendo scelte razionali su come fare del male alla donna anche quando pretendono di aver “perso la testa“. In questi comportamenti, così studiati e selettivi, possiamo riscontrare patologia o disturbo psichico?
La violenza è un comportamento scelto in modo cosciente ed i suoi fini sono il predominio e l’abuso.
Chi è violento nei confronti della moglie o fidanzata, all’interno della relazione, lo è con lo scopo di ottenere il controllo psicologico e sociale su azioni, pensieri e sentimenti della partner.
Chi usa violenza verso la donna ha aspettative determinate su chi deve “comandare” e sui meccanismi ritenuti accettabili per sottometterla.
Dice alla donna cosa fare e si aspetta di essere obbedito, è convinto che lei non abbia diritto a sottrarsi al controllo, si sente giustificato ad usarle violenza.
Getta la colpa dei suoi atti sulla donna e non si sente responsabile o in colpa per il dolore, la sofferenza o la morte.
La violenza di genere è il risultato di relazioni sociali basate su dominio e diseguaglianza, e si nutre ed alimenta dalle giustificazioni culturali, religiose, economiche e politiche.
Finché nella società esisteranno, tra uomo e donna, disparità di ruoli, mentalità, peso economico, peso sociale, la violenza continuerà ad essere presente.
La violenza esercitata dagli uomini sulle donne è riconosciuta come una violazione dei diritti umani (ONU 1993 Dichiarazione per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne).