di Avv. M.Nacca
“Jusqu’à la Garde” è il titolo in originale del film “L’Affido“, pluripremiato al Festival di Venezia ed uscito in questi giorni nelle sale cinematografiche italiane. Il regista Xavier Legrand affronta per la seconda volta, quattro anni dopo il suo corto intitolato “Avant que de tout perdre”, il tema delle violenze domestiche, agite anche oltre la separazione coniugale ed attraverso lo strumento giuridico della bigenitorialità.
E’ questo un tema tanto caro al nostro nuovo Governo italiano, tanto da volerne fare oggetto di una legge che presto troverà luce e farà impallidire la più mite normativa del 2006 sull’affido condiviso.
Il film si apre con l’Udienza degli ex coniugi davanti al Giudice , con i loro rispettivi avvocati: il Presidente del Tribunale, che deve stabilire a quale dei due genitori affidare il figlio minorenne Julien e stabilire i turni di visita, alla fine non sapendo a quale delle due parti credere (magistrale appare la capacità manipolativa e affabulatoria di Antoine), decide per una collocazione congiunta con tempi alternati. Ma ciò viene deciso indipendentemente dalla volontà del figlio Julien, di undici anni, che infatti non ha alcuna voglia di stare con il padre nei week-end. Tant’è che il ragazzino ha soprannominato il padre “l’autre”, in italiano ”quello”, e con il suo atteggiamento dimostra di voler proteggere la madre, probabilmente perchè è stato testimone delle violenze paterne: infatti ad un certo punto Julien gli dice :“però non picchiare la mamma”, inoltre non vuol dare al padre il numero di cellulare della madre e gli mente sulla sua reale residenza, evidentemente per non rendere la madre rintracciabile.
L’atteggiamento del ragazzino descritto dal Regista è insomma quello classico di un bambino testimone della violenza paterna sulla ex moglie, ma che risulta anch’ esso (il bambino) vittima: ciò non solo perché quella assistita è essa stessa violenza, in base alla Convenzione di Istanbul, ma anche perché l’usare una persona, specie se un bambino, per controllarne un’altra, vuol dire violarla nella sua dignità e libertà.
Quello che viene descritto nel film è un comportamento del bambino del tutto naturale, perché essenzialmente di autodifesa e non solo di difesa materna!
Un comportamento che tuttavia oggi molti avvocati, giuristi, psicologi e politici nostrani definirebbero quale caso tipico di “alienazione parentale”, considerandolo cioè come un irrazionale atteggiamento di rifiuto paterno, da parte del figlio, a loro dire dovuto non ad una naturale esigenza di autodifesa del bambino contro la strumentalizzazione paterna, ma ascritto ad una fantomatica e pretesa manipolazione materna. Ciò nonostante la psichiatria abbia chiarito che i comportamenti di autodifesa (anche quelli agiti dai bambini) sono sempre indotti da violenza, psicologica e/o fisica, realmente vissuta.
Il film dispiega perfettamente la personalità di questo padre, Antoine Bresson, in realtà focalizzato nella sua smania di controllare la ex moglie Miriam anche dopo la separazione, cosa che realizza attraverso il figlio, il quale viene dunque strumentalizzato e controllato esso stesso dal padre: si tratta di un uomo complessato e dunque in quanto tale ossessionato, controllante, frustrato, egoista, violento, irascibile, che finisce per usare il figlio solo per avere in scacco la madre. Un uomo che non ha alcuna capacità di entrare in empatia con il figlio, nè interesse ad imparare a fare il padre ed a prendersi cura affettivamente del bambino, un uomo che ama solo il controllo esercitato sul figlio e che si sente importante solo grazie a ciò, ritenendo che il ruolo del bravo genitore si esaurisca in questo controllo ! Quest’uomo quindi trasforma le giornate di esercizio del diritto alla bigenitorialità in una vera e propria tortura per Julien.
Si tratta di un film che fa riflettere: su chi la violenza l’agisce e chi la subisce, direttamente e indirettamente, ma anche sui risvolti di una bigenitorialità che deve rappresentare forse un diritto per i figli, ma mai un dovere per i medesimi!
“L’Affido“, magistralmente interpretato da Thomas Gioria, Denis Ménochet e Lèa Drucker, rispettivamente nella parte di Julien, del padre Antoine Besson e della madre Miriam, è consigliato per un pubblico adulto e per un Governo altrettanto adulto!
Perché la bigenitorialità, se non desiderata dai figli ed anzi a questi imposta, NON RISOLVE AFFATTO, MA CREA ulteriori traumi: personali, familiari e sociali.