Una commedia di ieri e per oggi
di Cristina Auditore (da un progetto di Alternanza Scuola Lavoro di Maison Antigone con Liceo)
Se da una parte, nelle varie filmografie di diversa nazionalità ed epoca, alla figura femminile vengono assegnati i ruoli di angelo del focolare, o di femme fatale, o di compagna ideale, o ancora di dumb blond, non mancano sicuramente personaggi femminili singolari, non stereotipati, dai tratti quasi inaspettati.
Del 1940 è il film di Howard Hawks La signora del venerdì (His Girl Friday), uno tra i migliori film del cinema classico hollywoodiano, nel quale commedia e genere drammatico sono sapientemente combinati.
Tra le battute rapidissime ed esilaranti proprie della screwball comedy, nella quale i personaggi rifiutano il linguaggio canonico dell’amore, ma parlano moltissimo – ed è proprio parlando che si innamorano – emerge l’intreccio.
I protagonisti sono Walter Burns (Cary Grant), editore del Morning Post, importante quotidiano di Chicago, e Hildy Johnson (Rosalind Russel), migliore cronista del giornale, nonché ex-moglie del primo. All’inizio del film i due hanno appena divorziato e la donna si reca in redazione per informare l’ex-marito che sta per risposarsi con Bruce Baldwin (Ralph Bellamy), uomo banale, il quale svolge l’impiego di assicuratore.
La sua intenzione è quella di poter “essere solo una donna”, “condurre una vita normale”, avere una casa e dei figli, e dedicarsi esclusivamente alla vita familiare. Tutto ciò può esserle offerto solo da Bruce, non certo da Walter, con il quale ha avuto un matrimonio caratterizzato da una frenetica e totalizzante immersione della coppia nella dimensione lavorativa.
Walter, coinvolgendola in un intricato caso giornalistico riesce a riportare Hildy al suo amato lavoro di giornalista, salvando anche il suo matrimonio con lei.
I due quindi collaborano, come hanno sempre fatto: nel loro lavoro l’uno ha bisogno dell’altra e viceversa.
Hildy, nonostante dichiari all’inizio del film di voler abbandonare la frenetica e randagia vita da cronista, è nata per fare la reporter e la sua natura profonda le impedisce di realizzare quel sogno familiare sul quale fantastica. I due sono, sono stati per anni, e continueranno ad essere – come si evince dalla conclusione del film – amanti e compagni di avventure.
È, questo, un film riguardante il rapporto tra professionismo e vita di coppia, lavoro e amore, un film che fa ridere di gusto ma che è anche emotivamente coinvolgente e moralmente complesso, un film che presenta una protagonista singolare, compagna di gioco e d’avventura del protagonista maschile, con il quale stabilisce un rapporto paritario. E del resto è proprio nella costruzione di figure femminili anomale, per l’epoca, che risiede uno dei maggiori elementi di continuità tra le commedie di Hawks e gli altri suoi film.
His Girl Friday è in realtà la seconda riduzione cinematografica di un’opera teatrale, The Front Page, di Ben Hecht – che inoltre collabora alla sceneggiatura del film di Hawks – nella quale i protagonisti sono due uomini: il direttore di un giornale e il suo miglior reporter, il quale vuole sposarsi e cambiare lavoro, ma che non ci riuscirà, rimanendo fedele collaboratore del primo.
Il fatto che qui il ruolo del reporter sia interpretato da una donna rende la vicenda ancora più interessante e coinvolgente. La coprotagonista è a tutti gli effetti il collega più fidato di Walter, è il suo “compagno d’armi” nella battaglia quotidiana del Morning Post, è il suo braccio destro. D’altra parte, Hildy è una donna libera ed intelligente, e l’unico modo che ha Walter di riconquistarla è quello di riportarla al lavoro.
Piacevole da vedere oggi come ottant’anni fa, nonostante le molteplici chiavi di lettura attraverso le quali lo si può analizzare, La signora del venerdì può essere semplicemente considerato un film divertente e spiritoso, dinamico e brillante, sicuramente antenato delle commedie così popolari oggi.
Guardandolo oggi, però, non si può fare a meno di essere meravigliati dal personaggio interpretato da Rosalind Russel e da quanto esso sia anticonvenzionale.
Nonostante non si possa affermare che il regista voglia trasmettere un particolare messaggio, questo è sicuramente un film che offre svariati spunti di riflessione e approfondimento. Nel nostro caso, appunto, è interessante sviluppare quello riguardante la figura femminile che ne emerge.
È importante che la donna sia auto-consapevole, cosciente delle proprie capacità, indipendentemente da quello che potremmo considerare conforme alla “normalità”.
Sappiamo che ogni mutamento nella struttura sociale influisce sugli individui che ne fanno parte. In parole povere, la società si aspetta ogni volta qualcosa di diverso da noi, che ne facciamo parte. E la pressione è spesso maggiore sulla donna inserita nella società. Se la società si aspetta da lei che prenda il suo posto nella cucina di una casa, che badi ai figli, che non conduca una vita spericolata o appassionante, allora ella stessa si convincerà che questo è ciò che di più giusto e bello possa desiderare per la sua vita.
Bruce è per Hildy l’uomo che può offrirle quello che la società si aspetterebbe da lei come donna. Nella figura di Bruce, che Hildy si accinge a sposare, potremmo individuare l’uomo dalle idee antiquate, al quale può sembrare positivo e normale che la donna che gli sta accanto scelga di lasciare il lavoro per dedicarsi totalmente alla famiglia e alla casa. Dal personaggio di Walter potrebbe invece emergere la figura dell’uomo anticonformista, le cui azioni sono governate da una nuova mentalità, più aperta e rivoluzionaria.
Hildy è, secondo questa lettura, una donna in bilico tra queste due formae mentis, l’una agli antipodi dell’altra: l’emancipazione è prima di tutto una scelta di rivoluzione e la rivoluzione deve essere un meccanismo interno alla donna stessa. Tale meccansimo deve anzitutto avvenire attraverso la consapevolezza di sé e attraverso un percorso che da personale diventi universale.
Secondo questo punto di vista, tutte le donne sono Hildy, in bilico tra le convinzioni inculcate dalla società e le loro capacità e inclinazioni. E, col cambiare della società, cambiano anche le aspettative che gravano sui suoi membri. La donna contemporanea deve terminare un percorso di studi, deve ottenere un buon lavoro, fare carriera; giunta ai trent’anni deve sposarsi; quindi deve iniziare a costruirsi una famiglia ed essere in grado di lavorare, di occuparsi della casa e dei figli, e di racimolare anche del tempo per curare la sua vita sociale. Molte donne desiderano questa vita. Ma dov’è il labile confine tra il reale desiderio e l’auto-convinzione che sia questo ciò che si desidera, sotto l’influenza di pressioni esterne? Emanciparsi è appunto liberarsi da un vincolo di dipendenza materiale o morale. Emancipazione femminile è il raggiungimento della parità di diritti e di condizioni sociali, economiche e giuridiche con l’uomo. Per la società, oggi, se un uomo di successo arriva a cinquant’anni celibe è uno scapolo d’oro; se una donna arriva a quarant’anni nubile, deve affrettarsi a trovare marito e sperare che non sia troppo tardi per avere figli. E questo è solo uno dei tanti esempi di quanto la mentalità diffusa sia ancora sessista e di quanto questa sia purtroppo spesso sostenuta e incoraggiata proprio da noi donne.
La donna è chiamata quindi, ora più che mai, a scegliere di non essere più in bilico, ma di schierarsi in proprio favore, in una lotta ardua e ancora in corso.