Ma per la Cassazione non si può prescindere dalla bigenitorialità
di Marzia Lazzerini, Giornalista
La storia è quella di una donna, come molte altre, che subisce violenze dal compagno. Verso quest’uomo pendono alcuni procedimenti penali per condotte violente. Da una episodio la scelta di voler procedere ad una separazione e di chiudere ogni rapporto con l’uomo per la protezione di se stessa e del figlio.
Il padre però richiede immediatamente l’affido esclusivo del bambino ma la madre si oppone dichiarando che il figlio è spaventato da numerosi episodi di violenza a cui ha assistito. L’uomo, tuttavia, si appella ai suoi diritti di essere genitore. Dopo due gradi di giudizio (in sede di merito era già stata decisa la collocazione del padre e del minore presso una comunità educativa) è la Cassazione a confermare definitivamente la decisione già espressa in Corte d’Appello: non si può prescindere dalla bigenitorialità ovvero dal diritto di entrambi i genitori di esercitare il proprio ruolo, anche nel caso in cui uno dei genitori sia rinviato a giudizio per violenza. Così per far recuperare il rapporto tra padre e figlio si dispone che siano messi entrambi in una comunità educativa protetta. La Cassazione infatti non nega i tre procedimenti penali a carico dell’uomo, ne le violenze contro la ex compagna ma pur di far ritrovare il rapporto tra padre e figlio ma, allo stesso tempo, consapevole di dover proteggere il minore da un uomo ancora sottoposto a processo penale, dispone il collocamento di entrambi presso una comunità educativa e protetta. Come si legge nell’ordinanza: “..l’esigenza di far sì che il recupero dei rapporti con il padre non vada a detrimento della sicurezza del minore…”
Questo è il risultato delle valutazioni degli esperti e dei giudici della Cassazione, ma non della consulenza tecnica d’ufficio che già si era discostata da tale conclusione. Gli esperti dunque avevano già escluso l’affidamento del bambino direttamente all’uomo, proprio alla luce degli episodi di violenza denunciati dalla ex compagna e ancora al vaglio di procedimenti penali non ancora conclusi. Elementi tutti riportati in Ordinanza, che sono stati solo “ridimensionati ma non sottovalutati”.
Estratto CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE – ORDINANZA 19 maggio 2020, n. 9143:
Un provvedimento che obbliga un bambino a vivere in una comunità, separato dalla madre con la quale aveva vissuto sempre, e con un padre diciamo così da “controllare” è veramente un atto disposto nell’interesse del minore?
Il difensore della donna, dichiara: “Questa ordinanza sembra essere posta in virtù di una bigenitorialità voluta a tutti i costi, dove per bigenitorialità invece si deve intendere un principio applicato nell’interesse superiore del minore. In questo modo significa prendere un bambino che rifiuta il padre, perché spaventato in quanto l’uomo è già stato rinviato a giudizio per denunce di violenza, e in nome della bigenitorialità stessa applicarla, come ideologia astratta. È un atto in nome di un concetto, astratto, ideologico e patriarcale che supera le ipotesi di violenza e pericolo sulla integrità psicofisica dei bambini. Alcuni documenti precedenti, infatti, avevano sconsigliato di stare con il padre.”
Dalle relazioni degli esperti è emersa inoltre la difficoltà del minore ad interagire con il padre a causa del condizionamento materno. Cosa vuol dire?
“È un chiaro riferimento alla sindrome di alienazione parentale, ma questo non è che un sistema per penalizzare le vittime e per punire. Il condizionamento se è tale me lo devi provare e se non è provato non può essere applicato in una causa. È una regressione culturale sulla violenza delle donne e sui diritti dei bambini. I femminicidi sono solo la punta di un iceberg”.
La sindrome da alienazione parentale (PAS, Parental Alienation Syndrome), o semplicemente alienazione genitoriale, ricordiamo è la controversa teoria che è stata introdotta negli anni ‘80 dallo psichiatra americano Richard Gardner per la quale un bambino, soprattutto in fase di separazione dei coniugi, sarebbe condizionato da uno dei genitori tramite una campagna denigratoria a sfavore dell’altro genitore. Alla luce delle ultime novità in quanto a sentenze o inserimento ufficiale all’interno del DSM – Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – questa sindrome, spesso accostata anche a teorie sulla pedofilia, è stata negata sia dalla comunità scientifica internazionale che da quella legale.
E anche la ormai nota Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, sembra essere reinterpretata. Gli articoli citati in Ordinanza, 26 e 31, parlano infatti di interessi superiori dei minori in quanto a protezione e tutela – “…garantire l’esercizio dei diritti di visita o di custodia dei figli non comprometta i diritti e la sicurezza della vittima o dei bambini” – che i giudici di Cassazione interpretano mettendo sotto vigilanza sia il minore che il padre.
L’associazione Maison Antigone, tramite la Presidente Michela Nacca, dichiara l’assurdità di questa ordinanza “per il figlio minore è più pericolosa la madre vittima di violenza domestica che il padre violento che l’ha resa zoppa. Sembrerebbe che la violenza non venga più negata ma anzi accetta, banalizzata, con tutti i rischi e i pregiudizi ad essa legata. Quasi a voler chiedere la complicità delle donne.”
Riteniamo di dover segnalare – si esprime sui social l’avv. Nacca – la grave deriva giurisprudenziale che si sta delineando in Italia e che inevitabilmente le donne, madri e minori, impotenti e complici della violenza domestica e degli abusi perpetrati dai partner, ex partner nonché padri violenti su loro stesse e i loro bambini, sono destinati a rimanere senza adeguate protezioni. Intendiamo come associazione denunciare quello che potrebbe essere un grave attacco ai Principi supremi della Democrazia e della Giustizia. Una grave violazione dei Diritti Umani ed un ripristino inaccettabile della patria potestas violenta”.