di Marzia Lazzerini, Giornalista
“Chiedo alle istituzioni che ciò che sta accadendo a me e a mia figlia, possa essere indagato, e che possa essere verificata la correttezza degli operatori coinvolti nella consulenza tecnica depositata al giudice”.
Un altro grido di aiuto arrivato all’associazione Maison Antigone che da anni sta raccogliendo e studiando casi di donne che subiscono violenza istituzionale. Così viene chiamata quella violenza agita dalle istituzioni contro i soggetti che dovrebbe tutelare e che, in questo caso, consiste nel separare le madri dai figli all’interno di iter processuali che si attivano dopo che quelle stesse donne sopravvivono alle violenze da parte di mariti o compagni. Considerate quasi ree di aver denunciato rischiano di perdere o perdono l’affidamento dei loro bimbi. “Sono donne che hanno sofferto e subito fisicamente e psicologicamente e che quando si separano si ritrovano a lottare nelle aule di tribunale con il rischio di perdere i propri figli che hanno voluto proteggere” dichiara l’avv. Michela Nacca presidente dell’associazione. L’accusa alle madri è sempre la solita: pas, alienazione parentale o qualsiasi altro aggettivo, (madre manipolativa, adesiva, simbiotica, malevola) che da una parte non richiama esplicitamente la sindrome di alienazione parentale ma dall’altra è un chiaro riferimento alla teoria Gardneriana. La pas (sindrome di alienazione parentale) è infatti una teoria molto discussa, “chiaramente e ripetutamente condannata” mi spiega l’avv. Nacca, sviluppata dallo psichiatra americano Richard Gardner, mai entrata nel manuale diagnostico dei disturbi mentali, non riconosciuta dal Ministero della Salute e mai presa in considerazione dalla Cassazione. Tuttavia continua a comparire nelle aule dei tribunali all’interno dei processi per separazione, soprattutto quelli nei quali le donne hanno subito violenza. L’iter processuale finisce per condurre alla sottrazione dei bambini i quali vengono chiusi in case famiglia senza poter avere contatti con le madri.
Questo è quello che rischia di succedere a Maria la quale, dopo aver denunciato il proprio compagno e dopo una separazione violenta, rischia di vedere la propria bambina di nemmeno tre anni affidata ai servizi sociali.
“Ho dovuto affrontare una separazione conflittuale con il padre di mia figlia” – racconta Maria – “un uomo molto violento, che abusa di alcool, e che ho scoperto essere stato condannato per bancarotta fraudolenta, oltre che collegato ad un processo per omicidio. È un padre che ha tuttora in corso una indagine per detenzione illecita di armi”. Nel corso del tempo, mi continua a spiegare, continuano le violenze, aggressioni fisiche e abusi sessuali, “in gravidanza sono stata costretta a rivolgermi al pronto soccorso”. È in questo scenario che la donna, spinta anche dalla preoccupazione di voler proteggere sua figlia, all’epoca di solo un anno, decide di separarsi: i maltrattamenti erano iniziati anche sulla piccola.
Durante il processo, il Tribunale Ordinario concede al padre di incontrare la figlia due volte a settimana vincolando le visite alla presenza della nonna paterna a scopo di presidio e monitoraggio, disponendo contestualmente una Consulenza Tecnica di Ufficio (ctu) già richiesta dall’uomo insieme alla richiesta di affido della piccola ai servizi sociali.
La donna sperava che la consulenza tecnica potesse ristabilire equilibrio e verità nella ricostruzione dei fatti, che potesse garantire una sicura genitorialità condivisa e che potesse dare spazio anche all’ascolto della piccola che mi racconta “mostra costante disagio e malessere verso il padre”. La speranza è stata vana perché dopo un anno di test e visite domiciliari la consulenza tecnica ha definito la donna come una madre simbiotica e psicotizzante, nonché pregiudizievole per la figlia.
“Il padre, a differenza mia che nei test ho ottenuto punteggi nella norma, ha punteggi allarmanti che delineano un profilo di seria problematicità e psicopatologia”. Sembra infatti essere risultato discontrollato, aggressivo e ostinato a chiedere che la bimba fosse collocata prevalentemente, se non esclusivamente, presso di lui e affidata ai servizi sociali. Nonostante tutti i dati clinici contrari, viene comunque indicato come idoneo, adeguato e positivo per la bambina, perché sarebbe in grado di separarla da una madre adesiva e simbiotica. Ora Maria è in attesa della decisione del giudice: “Sono molto preoccupata per il futuro della piccola che ha appena compiuto 3 anni, per i danni psicologici che potrebbe subire e per la possibilità che possa essere collocata pariteticamente da un padre verso il quale manifesta serio malessere e senza contare che il padre è persona violenta e maltrattante. Mi chiedo perché non è mai stata effettuata una reale valutazione clinica dei dati emersi nella consulenza tecnica, sia del padre che miei, ma è stata data una interpretazione degli stessi che è assolutamente incongruente?”.
*Nome di fantasia