di Avv. Michela Nacca
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Abid Jee è, o era, un mediatore culturale e fino a qualche giorno fa lavorava presso un centro italiano che accoglie immigrati, gestito dalla cooperativa sociale “Lai Momo”, che ora lo ha sospeso da servizio
Ciò è avvenuto in quanto Abid Jee, avuta notizia del duplice feroce stupro avvenuto a Rimini ad opera di un branco di giovani, immigrati di prima e seconda generazione, commentava sul proprio profilo facebook: “Lo stupro è un atto peggio ma solo all’inizio, una volta si entra il pisello poi la donna diventa calma e si gode come un rapporto sessuale normale”.
Affermazioni scioccanti, per molteplici ragioni.
Innanzitutto perché espresse da un mediatore culturale: cioè da un uomo scelto per il suo livello culturale e linguistico, tale cioè da poter e dover “garantire” alle istituzioni italiane ed europee una mediazione tra le diverse culture: quella della nostra società occidentale accogliente e la cultura africana e medio orientale dei migranti.
E’ attraverso il lavoro dei mediatori culturali, infatti, che potrà essere possibile quell’integrazione che si è resa necessaria, come conseguenza di una geopolitica internazionale di cui la stessa Europa e l’Italia non sono certo state mere spettatrici.
Perchè proferite da uno studente di Giurisprudenza, qual è Abid Jee: dunque da un uomo che avrebbe ben dovuto conoscere l’Ordinamento che lo ha accolto, avendone studiato non solo la cultura ed i valori in generale, ma gli stessi istituti giuridici che quella cultura riflettono.
Considerando poi che il Diritto Penale e lo studio delle sue istituzioni costituisce una materia fondamentale, prevista già al primo anno di corso della Facoltà di Giurisprudenza, questi avrebbe dovuto ben sapere che, in Italia, così come in Europa, uno stupro è un REATO e non una modalità qualsiasi di rapporto sessuale lecito, realizzato cioè tra adulti consezienti. Ed è un reato proprio in quanto l’uomo e la donna dalla Costituzione italiana sono posti in una condizione paritaria: l’art. 3 riconosce infatti “pari dignità sociale” essi “sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso”.
In terzo luogo perché queste affermazioni fanno intuire quanto scarsa sia la consapevolezza di molti uomini, compreso Abid Jee, circa il fatto che, durante ed in conseguenza di uno stupro, la vittima della violenza sessuale non gode affatto. Anzi, soffre atroci dolori, nel fisico e nell’anima, che rimarranno indelebili e determineranno la sua vita negativamente.
Perchè tali dichiarazioni lasciano intendere che, nella cultura di Abid Jee, e nonostante i suoi studi linguistici e giuridici intrapresi da anni nel nostro Paese, sopraffare e violare sessualmente una donna contro la sua volontà evidentemente non è percepito quale atto di grave violenza e sopruso: dunque egli non concepisce il significato del consensus (del sentire con) nè il fatto che la differenza fra actus humanus e l’actus hominis è appunto la volontarietà, data dalla consapevolezza e dalla libertà dell’azione, da ambo le parti, come ben prima dell’Illuminismo insegnava San Tommaso D’Aquino nella sua Summa Theologiae e che, con le sue riflessioni filosofiche e giuridiche, in continuità con il pensiero aristotelico, costituisce uno dei pilastri della nostra cultura occidentale!
Perchè le affermazioni di Abid Jee sono così circostanziate e precise da far pensare che egli abbia vissuto in prima persona l’esperienza di uno stupro, dalla parte non certo della vittima!
Sorprende infatti verificare che Abid Jee, pur studente in Giurisprudenza, nulla conosca del Diritto Penale italiano, ma sappia perfettamente descrivere le dinamiche di uno stupro, riferendo che nella fase secondaria interviene spesso un meccanismo psicologico e fisico di “blocco” nella vittima stuprata che, pur potendolo sembrare, non diviene affatto “calma” e ben disposta, ma solo estranea a se stessa, come morta!
Perché, nel momento in cui questo mediatore ventiquattrenne ha deciso di spiegare via facebook cosa sia lo stupro, precisando che “si gode come un rapporto sessuale normale” ha chiaramente voluto contestare lo scandalo e la condanna sociale giustamente suscitati dagli eventi criminosi di Rimini.
Perchè in queste sue parole si legge il punto di vista dello stupratore, che “gode” dello stupro, come si trattasse di un normale rapporto conseziente, mentre è totalmente obliato il punto di vista della vittima: Abid Jee, oggettificando la vittima, non considera affatto se la donna abbia sofferto o meno dello stupro, ma parla del godimento dello stupratore… oppure ha l’assurda pretesa di rivendicare un godimento anche da parte della vittima!
Infine perchè il suo intervento sembra quasi una excusatio non petita… dunque una manifesta confessione, che come tale ci allarma socialmente!
Le affermazioni di Abid Jee sono di una violenza inaudita.
Ma lo sono molto più di quelle del Sindaco di Pimonte? Il quale, in riferimento ad uno stupro condotto con analoga brutalità su di una quindicenne sua concittadina, da parte di giovani italiani, nel luglio 2017 affermava essere stata solo “una bambinata”!
Non si tratta, forse, anche in questo caso di un atteggiamento di negazione del reato, della violenza agita e subita, del dolore inflitto?
Anche nelle parole del Sindaco di Pimonte leggiamo una totale assenza di empatia verso la vittima e, dunque, una incapacità a comprenderne i sentimenti, le emozioni, i bisogni, i legittimi diritti. Mentre l‘atteggiamento è tutto rivolto alla giustificazione dei carnefici, che passa attraverso lo svilimento della gravità orrenda di quanto commesso.
Quasi che lo stupro non debba considerarsi in fin dei conti così grave ma, appunto, una modalità di approccio sessuale.
Ma se la cultura popolare italiana forse non è così distante da quella di Abid Jee, perchè allora temere che questo immigrato non possa attuare una adeguata mediazione tra le nostre culture, in realtà più vicine di ciò che crediamo o rivendichiamo?
Ovviamente la domanda è provocatoria… ma mette in luce tutta la schizofrenia della nostra società italiana!